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La prima caratteristica che Plino il Vecchio ci tiene particolarmente a tramandare è lo sgradevole e persistente odore dell’Ozena, la piovra gigante che può arrivare anche ad aggredire ed uccidere un uomo adulto. Il termine deriva dal greco ózaina, a sua volta proveniente da ózō, “emano odore”. Secondo il Libro IX del Naturalis Historie, l’Ozena durante la notte depredava gli allevamenti di molluschi, soprattutto ostriche, delle quali i Romani erano molto ghiotti. Per scoprire maggiori informazioni sulla cucina di Roma antica e su tutte le sue stranezze, vi consigliamo di visitare il nostro canale YouTube e guardare i video della relativa playlist che potete trovare a questo link Il Garum | #icibistranidellanticaroma – YouTube dove trovate il primo, nonché caposaldo della cucina dei nostri antenati.


La testa era “grande come un dolio da 15 anfore”, era tentacolata e riuscì a vederla grazie all’ausilio di cani da caccia che erano in grado di sentirne anche il minimo odore ad enormi distanze. Le ventose erano “a forma di catino”, i tentacoli  lunghi 300 piedi romani (quasi 9 metri) e aveva perfino i denti. Riusciva a muoversi anche sulla terraferma come effettivamente fanno anche i polpi comuni, compiendo però eccezionali balzi. Un po’ troppo grandi in relazione alla realtà, ma è comunque molto interessante che venga riportato questo.

L’Ozena, come altri esseri marini a quanto dice Plinio, è attirata dagli odori degli insaccati e saccheggia volentieri i magazzini e le cantine nei quali sono conservati. La sua parte più maleodorante è la testa, grossa, molliccia, viscosa e bitorzoluta, che emette un tanfo nauseabondo per via della salsedine (salamoja dice Plinio). L’Ozena è ricordata così tanto infestante dell’olfatto altrui che attirava l’attenzione delle murene che la inseguono sulla sua stessa scia.


Non sono longeve e vivono solo due anni nascoste alla vista. La prima causa della loro morte è la “consunzione”, cioè periscono in un veloce, ma inesorabile processo fisiologico che colpisce in modo più marcato prevalentemente le femmine che devono anche affrontare il parto; a quanto pare accelererebbe tale processo.


La tecnica di caccia al mollusco dell’Ozena è molto arguta, degna della proverbiale intelligenza dei polpi: ovviamente le ostriche delle quali vanno ghiotte, essendo cieche, non vedono arrivare il predatore che le attacca quando sono aperte. Sono loro stesse a farle aprire di più per cacciarle meglio. Infilano qualche granello di sabbia o una piccola pietra nella fessura e queste per espellere il corpo estraneo ampliano gradualmente l’apertura con delle contrazioni. A quel punto l’Ozena colpisce e si gusta la meritata ostrica. Caccia anche gli esseri umani e Plinio riporta con sdegno la sua tecnica e il gusto con cui l’Ozena divora i naufraghi. Utilizza i tentacoli per carpire la preda e le ventose per fare presa sul corpo e trascinarlo nei fondali fino alla morte per affogamento.

Cosa c’è di vero? Esistono esemplari di qualsiasi animale dalle dimensioni eccezionali e le piovre giganti sono il must degli Animali Fantastici, dei racconti dei marinai che talvolta, si sa, esagerano un po’. Ciò non toglie che l’avvistamento effettivamente deve esserci stato e Plinio verosimilmente non sarebbe andato da solo a caccia di un mostro marino così pericoloso. La storia riportata da vuole che l’Ozena, quella puzzona in tutti i sensi, venne effettivamente catturata e presa in trappola mentre si nutriva di molluschi lasciando solo i gusci, altra abitudine comune dei polpi e dei loro simili, intelligentissimi ed abili cacciatori.


Che fine fece l’Ozena che ci ha descritto Plinio? Sferzò violentemente i coraggiosi cani che l’affrontarono e venne colpita con i tridenti. Fece quindi la fine che i conoscitori delle abitudini romane si aspettano sicuramente: si dice venne cucinata e servita nientemeno che a Lucullo, famoso buongustaio, patrono dell’aggettivo “luculliano”, che indica un banchetto senza pari in termini di sfarzo e di limiti. Tale intenditore della buona tavola, piano piano riuscì, secondo la leggenda, a mangiarsi tutta l’Ozena.

Arianna Santini

Ph: Foto di Ria Sopala da Pixabay

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